Serata davvero stimolante quella che Tiziana Bortoluzzi, nostra vicepresidente, è stata invitata a condurre dalla associazione GENIA, a Madrisio di Fagagna, venerdi sera scorso. Stimolante e confortante per essere tornati in presenza a riempire una sala che, grazie alle sue dimensioni, poteva conciliare (a dispetto della competizione con la partita Italia – Turchia) un pubblico incredibilmente numeroso col rispetto delle disposizioni sanitarie ancora in vigore.
Serata ancor più interessante per l’ospite “extra ordinario”, nel senso letterale di chi sfugge all’ordinario, rappresentato dalla figura di don Marco Pozza, di cui sono contenuti cenni biografici nella locandina di presentazione dell’evento.
Singolare testimonianza di fede cristiana, nel Dio della misericordia e del perdono e contestualmente di fede nell’uomo, anche del Caino che alberga in ciascuno di noi..
Difficile intervistare nel senso tradizionale del termine don Marco: offrirgli lo spunto per parlare del “vuoto che vuoto non è”, per spiegarne le ragioni, si rivela da subito la breccia da cui, come un fiume in piena, il parroco del carcere “Due palazzi“ di Padova travolge e coinvolge con la sua oratoria tutti i presenti.
Grandi temi, profonde metafore, inattese provocazioni ribaltano radicalmente ruoli e posizioni, pregiudizi e sentire comune. Contro chi pensa che il carcere a volte non basti, e non solo dentro di sé, a volte anche esplicitamente invoca la pena di morte per reati che gridano vendetta al cospetto di dio e degli uomini, don Marco risponde con veemenza che quelli che in chiesa recitano la professione di fede contenuta nel Credo, e che contro ogni logica credono “nella resurrezione dei morti”, poi non sono disposti a credere nella ben più plausibile “ resurrezione dei vivi”. Si sente che questo paradosso lo tocca da vicino. I suoi dieci anni di impegno con i 600 detenuti del carcere gli hanno sicuramente offerto una “formazione” , un toccare con mano fino in fondo il peggio ma a volte anche il meglio di cui un essere umano può essere capace una volta che gli venga offerta un‘occasione di redenzione autentica.
La sua definizione di vuoto come “misura di quello che mi manca” allude sia alla libertà di cui un detenuto viene privato con la pena del carcere, sia ad una dimensione spirituale più ampia, che passa per i versi di Ungaretti “mi illumino d’immenso”, sia ad una relazione tra uomo e Dio che è al contempo sofferenza e sfida, relazione mai tiepida, mai scontata che ribalta la lettura del “Dio tappabuchi”. Don Marco la giudica un modo scorretto di vivere la fede. Pregare per coprire i vuoti deriva da un catechismo molto universitario, molto scolastico..
Alla fine, tante restano le domande che si vorrebbe fargli, i dubbi sulla promiscuità dei piani materiali e spirituali su cui si muove con accattivante destrezza oratoria, ma la sua tracimante energia dialettica è alla fine disarmante. Il lungo ed entusiasta applauso del pubblico ne è la risposta più tangibile, la fila delle persone in attesa di un autografo sul suo libro appena acquistato ancora di più.

Daniela Rosa
presidente associazione ‘Le Donne Resistenti’